Preoccupa il pervicace accanimento dell’Unione Parmense Industriali, che detiene il controllo di SO.GE.A.P. S.p.A., la società che ha in concessione l’aeroporto Verdi, nei confronti di uno scalo aeroportuale cronicamente agonizzante, mentre in contesti più lungimiranti e sensibili al bene e all’interesse pubblico, alla salvaguardia dell’ambiente e soprattutto a evitare sprechi di denaro pubblico, si abbandonano le infrastrutture aeroportuali minori o in esubero per sostituirle con sistemi di collegamento meno inquinanti e più sicuri, primo fra tutti quello ferroviario.
Indigna il desolante spettacolo della politica locale, maggioranza Guerra-PD e opposizioni accomunate tra opportunismi e convenienze, che non fa nulla per impedire l’ennesimo irresponsabile spreco di denaro pubblico — sono già oltre 70 milioni di soldi dei contribuenti sversati nello scalo parmigiano — per tenere in vita artificialmente un aeroporto che colleziona risultati fallimentari da oltre 30 anni.
La lunga storia di liquidazioni annunciate e salvataggi in extremis, la perdurante serie di bilanci in rosso — 77 milioni di euro di perdite registrate negli ultimi 30 anni a fronte di soli 58 milioni di ricavi — e il progressivo inesorabile calo dei passeggeri — da 288 mila nel 2008 a 75 mila nel 2019, pari a un -73,9%, quando nello stesso periodo il traffico passeggeri nazionale è cresciuto del +44,3% — provano che il contesto territoriale di Parma non è in grado di produrre domanda di voli e introiti sufficienti a far raggiungere l’equilibrio economico-finanziario al suo aeroporto.
Un aeroporto di provincia ha qualche speranza di raggiungere il pareggio dei conti solo se arriva a gestire almeno 2,0 milioni di passeggeri all’anno, come ad esempio lo scalo di Verona che ha totalizzato 3,4 milioni di passeggeri nel 2023. Risultati impossibili da raggiungere per lo scalo di Parma, che negli ultimi 23 anni ha registrato in media 141 mila passeggeri annui. Numeri che dimostrano quanto la realtà territoriale cui è inserito il Verdi e la vicinanza con gli scali di Bologna (9,3 milioni di passeggeri nel 2023), Milano Linate (8,6 milioni) e Bergamo Orio al Serio (14,7 milioni) rendono del tutto inverosimile che Parma (134 mila passeggeri nel 2023) possa mai raggiungere un insperato pareggio di bilancio.
Anche la questione della lunghezza della pista di volo è un falso problema: Firenze fa volare quasi 3 milioni di passeggeri all’anno con una pista 564 metri più corta e 15 metri più stretta, Parma fatica ad arrivare a 200 mila passeggeri.
La posizione geografica e il contesto in cui è inserita Parma non permettono al suo aeroporto di reggere la concorrenza dei vicini scali di Bologna, Milano Linate, Bergamo Orio al Serio e Verona, molto più attrattivi per numero di voli e offerta di destinazioni e agevolmente raggiungibili in treno o in auto, e della stazione TAV Mediopadana a soli 28 km di distanza.
È opportuno inoltre ricordare che il Piano nazionale degli aeroporti di ENAC (Ente Nazionale per l’Aviazione Civile) del 2022, in un’ottica di “riconciliazione del trasporto aereo coerente rispetto ai temi della sostenibilità ambientale”, ha escluso categoricamente Parma dagli scali air cargo.
In linea con gli orientamenti del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e di ENAC, dovrebbe conseguentemente tramontare l’ipotesi irrealistica e velleitaria di ampliare l’aeroporto di Parma al traffico cargo. Esclusione logica e necessaria, anche per via della stretta vicinanza del Verdi allo scalo di Brescia Montichiari, già pienamente operativo per l’air cargo (39.000 tonnellate di merci nel 2022) e con in vista un investimento da € 50 milioni per raggiungere l’obiettivo di 100.000 tonnellate annue, che condannerebbe Parma al ruolo di inutile quanto insensato doppione.
A dispetto dei fatti sopra menzionati, l’Unione Parmense Industriali, col favore della giunta Guerra-PD che ha pedestremente acconsentito all’allungamento della pista e a realizzare le infrastrutture per il cargo, apre uno scontro senza precedenti nei confronti della larga parte della cittadinanza che é contraria, confermando l’intenzione di portare avanti a oltranza il progetto di ampliamento dell’aeroporto a spese dei contribuenti.
Un progetto aggressivo per il territorio, pieno di criticità e punti oscuri, con un piano di investimento fantasma, senza analisi costi-benefici, con opache procedure decisionali tra Stato (MIT, ENAC, CIPE) e Regione Emilia Romagna, da cui piovono altri fondi pubblici (12 milioni di fondi dell’FSC) per finanziare un aeroporto agonizzante da oltre 30 anni ed escluso dal MIT e da ENAC dal piano nazionale degli aeroporti cargo. Soldi pubblici, vantaggi privati, nessun reale beneficio per la collettività. Tra perdite economiche e fondi pubblici sversati nello scalo di Parma stiamo parlando di oltre 150 milioni di risorse finanziarie sottratte a reali progetti di sviluppo del territorio e delle sue eccellenze agroalimentari e manifatturiere.
Acconsentire allo spreco di altri 12 milioni di denaro pubblico in una infrastruttura che da oltre 30 anni registra perdite disastrose, superiori addirittura degli stessi ricavi, ha del surreale.
In questa vicenda del Verdi, tra i vari paradossi, si pretende di sanare errori di gestione di una società a capitale privato utilizzando fondi pubblici. Sorprende che la Corte dei Conti, trattandosi di fondi pubblici stanziati a favore di una società privata in grave e perdurante perdita, non intervenga censurando lo spreco di risorse pubbliche per un aeroporto cronicamente incapace di conseguire il pareggio di bilancio.