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La nazione che distrugge l'ambiente distrugge sé stessa

I paradossi dell’aeroporto di Parma

I risultati degli ultimi 22 anni di gestione del Verdi dimostrano che più aumentano i passeggeri, più aumentano le perdite

Nel dibattito pro e contro il mantenere in vita gli aeroporti minori la questione fondamentale è se conviene continuare a elargire fondi pubblici a favore di scali secondari non essenziali in un periodo in cui il settore pubblico deve ridurre e riqualificare drasticamente la propria spesa.

Ovviamente non parliamo di aeroporti indispensabili al collegamento di un territorio, come alcuni scali delle isole maggiori o Lampedusa o Pantelleria, ma di aeroporti secondari che si trovano vicini agli scali maggiori, di cui sono soltanto superflui doppioni.

La realtà è che i grandi aeroporti sono macchine da soldi, mentre al di sotto di una certa dimensione e volumi di traffico si finisce inevitabilmente a collezionare bilanci in perdita.

È la dura legge del mercato: i grandi aeroporti offrono voli di molte compagnie in concorrenza, per molteplici destinazioni, più volte al giorno, per questo motivo sono più attrattivi e sottraggono passeggeri anche dalla cosiddetta “catchment area” dei vicini scali minori.

Che cosa resta agli aeroporti minori? Se va bene qualche volo, qualche volta a settimana, per destinazioni tra le più strampalate, spesso con aerei semivuoti. Questo non basta per raggiungere il pareggio di bilancio e allora ci si ingegna per “comprare” traffico passeggeri, deviandolo dai vicini aeroporti maggiori, pagando sussidi alle compagnie aeree. Ryanair ad esempio è specializzata a effettuare voli con le frequenze e le destinazioni più fantasiose purché l’aeroporto paghi di tasca sua, invece di farsi pagare.

È il serpente che si mangia dalla coda. E alla fine, per far quadrare i conti cronicamente in rosso, le consorterie e le lobby locali che ne traggono vantaggio trovano sempre il modo di ottenere soldi pubblici per ripianare i deficit delle società di gestione mettendo le mani nelle tasche dei contribuenti.

In questo senso l’aeroporto di Parma è emblematico: per il suo “sviluppo” ha già ricevuto oltre € 70 milioni di aiuti pubblici e, malgrado ciò, ha registrato ben € 77 milioni di perdite complessive nei soli ultimi 30 anni, nonché un progressivo inesorabile calo dei passeggeri da 240 mila nel 2010 a 75 mila nel 2019 (meno 68,8% in 10 anni).

I risultati di gestione degli ultimi 22 anni di SO.GE.A.P. S.p.A. (la società che ha in gestione lo scalo di Parma) evidenziano inoltre una correlazione diretta tra il numero di passeggeri movimentati e il risultato economico: più aumentano i passeggeri, più aumentano le perdite.

È del tutto evidente che il bacino di utenza e il contesto territoriale in cui è inserita Parma non sono in grado di produrre domanda di voli e conseguenti introiti sufficienti a far raggiungere l’equilibrio economico-finanziario al suo aeroporto.

L’aeroporto Verdi (116 mila passeggeri nel 2022) in termini di offerta di destinazioni, frequenza dei voli e quantità e qualità dei servizi a terra, non può infatti competere con i vicini scali di Bologna (8,5 milioni di passeggeri nel 2022), Milano Linate (7,7 milioni), Bergamo Orio al Serio (13,1 milioni) e Verona (3 milioni). E se parliamo di concorrenza nell’offerta di collegamenti veloci c’è anche la stazione TAV di Reggio Emilia.

Per quanto riguarda l’idea velleitaria di sanare i bilanci cronicamente in perdita aprendo l’aeroporto di Parma al traffico cargo, è bene ricordare che il Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture ed ENAC hanno stabilito che lo scalo cargo di riferimento nella nostra area è Brescia Montichiari, già pienamente operativo con 39.000 tonnellate di merci movimentate nel 2022 e con in vista un piano di ulteriore sviluppo da € 50 milioni, per cui un investimento mirato a trasformare il Verdi in cargo lo condannerebbe a un ruolo marginale di inutile quanto insensato doppione.

Alla luce di quanto sopra, risulta ancora più incomprensibile e paradossale che il sindaco Michele Guerra e il PD, contraddicendo la posizione espressa in campagna elettorale, abbiano potuto avallare con tanta superficialità e leggerezza il progetto di allungamento della pista e di realizzazione degli hangar per il cargo, permettendo così di sperperare altri € 12 milioni di fondi pubblici in un aeroporto di provincia che da oltre 30 anni registra bilanci in profondo rosso (con perdite addirittura superiori degli stessi ricavi) e che, in base alle direttive del MIT e di ENAC, è escluso dal piano nazionale degli aeroporti cargo.